postmaster@museumofanthropocenetechnology.org, via Leggiuno 32
Laveno Mombello
21014
Italia
Alcuni libri, mappe e stampe nella collezione permanente del Museo della Tecnologia dell’Antropocene - una storia.
Questo articolo è la trascrizione di una presentazione fatta per un corso di formazione per docenti: L’Antropocene, una sfida per la letteratura, 11 ott. 2023, a Recanati. Verrà pubblicato nel 2025.


1. Introduzione
Il Museo della Tecnologia dell’Antropocene1 è stato fondato nell'anno 52017 d.C., cioè 7 anni fa. Il Museo espone oggetti che appartengono a un'epoca intorno all'anno 2000 d.C., che già allora fu chiamata "l'Antropocene", cioè una nuova epoca geologica formata da forze umane piuttosto che naturali. Gli oggetti vengono trovati in uno strato di circa 0,5-1 m di spessore, non molto profondo sotto la superficie terrestre. Per molto tempo questi oggetti non sembravano avere senso; non si sapeva a cosa servissero, né chi li usasse. Solo circa 300 anni fa, in quello che chiamiamo il "Secondo Rinascimento" (vedi figura qui sopra), si iniziò a mostrare un interesse più profondo per questi oggetti. Le ricerche hanno successivamente dimostrato che tra essi vi sono componenti di computer – ci è voluto molto tempo per capire cosa significasse "computer" – fogli di plastica, lamiere, componenti di auto, pneumatici, rappresentazioni del mondo sotto forma di opere d'arte – in questo caso stiamo ancora cercando di capire cosa significasse "arte" nell'Antropocene – sculture, mappe, ... Abbiamo inoltre scoperto che la terra stessa, in cui questi oggetti erano mischiati, era inquinata da metalli pesanti, microplastiche e radioattività.
L'esistenza stessa di questo "strato pieno di roba" mostra che l'Antropocene era un periodo frenetico, con una civiltà vivace che produceva e consumava una grande quantità e varietà di oggetti, che venivano successivamente abbandonati nell'ambiente. Il fatto che ci sia una netta separazione tra lo "strato pieno di roba" e lo strato superiore – quello che arriva fino alla superficie e che è pura terra che contiene quasi nessun manufatto – dimostra che quella produzione e consumo di cose finì; che l'Antropocene finì. Non è che gli esseri umani siano estinti – siamo ancora qui a scrivere e leggere questo testo – sembra piuttosto che il ritmo frenetico di quella civiltà intorno al 2000 d.C. non potesse essere sostenuto e che a un certo punto, in pochi anni, quella civiltà sia crollata. Non sappiamo quando ciò sia accaduto; intorno al 2050 d.C.? Intorno al 2500 d.C.? Non è molto plausibile che l'Antropocene sia arrivato fino all'anno 3000 d.C., ma dobbiamo ammettere che non lo sappiamo. Ciò che è più problematico, tuttavia, è che non sappiamo perché l'Antropocene sia finita. Questo è di grande preoccupazione, perché cercheremmo ovviamente di evitare gli stessi errori che hanno portato al crollo della civiltà dei nostri antenati.
Il Museo della Tecnologia dell’Antropocene, quindi, è un recente contributo a uno sforzo mondiale per studiare l'Antropocene. È una sorta di museo archeologico che, studiando oggetti, vuole rispondere a diverse domande. Primo: come si viveva e come si pensava durante l'Antropocene? Secondo: quando e perché l'Antropocene è finita? Una terza domanda - probabilmente la più difficile a cui rispondere a causa della mancanza di prove archeologiche -: come prosperarono l'umanità e la natura tra la fine dell'Antropocene e oggi, un periodo che abbiamo chiamato il "Grande Iato"? La quarta domanda: come viviamo oggi; gli esseri umani hanno trovato una coesistenza equilibrata con il resto della natura o c'è ancora il rischio che prendano di nuovo una strada verso l'autodistruzione, di un tipo o di un altro?
2. Un oggetto e un’installazioni nella collezione permanente del Museo
Prima di scrivere di libri e stampe, presentiamo un oggetto e una piccola istallazione per spiegare la metodologia che noi al Museo2 usiamo per cercare di dare un senso agli oggetti della collezione.
L'artefatto – Cat. Nr. 53 – è un guanto di cui si trovano zilioni nello “strato piena di roba” in tutto il mondo. Il guanto è organico, ma di un tipo che non è degradabile, almeno non nell’arco del tempo da quando è stato abbandonato nell'ambiente. Grazie a questa caratteristica, però, delle bolle d'aria hanno potuto rimanere intrappolate sotto il guanto. La composizione chimica dell'aria in quelle bolle deve essere la composizione dell'atmosfera al momento in cui il guanto è stato abbandonato nell'ambiente. Recentemente, nell'anno 51955 d.C., per essere precisi, ricercatori nell'Asia orientale sono riusciti ad analizzare l'aria intrappolata in bolle sotto guanti simili; il loro studio ha rivelato che la concentrazione di CO2 era di 420 ppm – ciò significa che, su un milione di molecole d'aria, 420 erano CO2. D'altra parte, i rapporti del Panel Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC), di cui il Museo conserva la quarta edizione del 2007 d.C. – Cat. Nr. 6 – mostrano grafici della concentrazione di CO2 nell'atmosfera terrestre in funzione del tempo. Il grafico nella Figura 3, dall'edizione 2023 d.C. dell'IPCC, mostra che la concentrazione di CO2 nell'atmosfera era in continuo aumento durante l'Antropocene e che raggiunse i 420 ppm nell'anno 2020 d.C. Quindi possiamo concludere che i guanti devono essere stati abbandonati nell'ambiente nel 2020 d.C.. Con questo esempio, vogliamo mostrare come, incrociando varie linee di ricerca, possiamo ottenere risultati piuttosto accurati riguardo alla data in cui gli oggetti della nostra collezione furono utilizzati e, molto probabilmente, anche prodotti. Un'altra domanda è ovviamente: perché nel 2020 d.C. sono stati prodotti così tanti guanti di plastica? Altri artefatti nella collezione, come Cat. Nr. 129, sono anch'essi datati come prodotti nel 2020 d.C. o poco dopo. Insieme, suggeriscono un evento di portata globale durante il quale l'umanità ha dovuto proteggersi da qualcosa; molto probabilmente un virus che si era diffuso in tutto il mondo. Si veda anche il Cat. Nr. 100 della collezione.
L'installazione – Cat. Nr. e23 – contiene una rappresentazione del Dodo, un tipo di grosso piccione che non volava, che fu avvistato per la prima volta da marinai olandesi sull'isola di Mauritius nel 1598 d.C. Nemmeno 100 anni dopo, molto prima della fine dell'Antropocene, l'uccello divenne estinto a causa della caccia e della distruzione del suo habitat. Esistono documenti che parlano di "genetica di de-estinzione" che tentava di riportare in vita il Dodo, ma nel frattempo gli esseri umani – forse perseguitati dal rimorso o, più probabilmente, spinti dalla promessa del progresso tecnologico – crearono anche oggetti artificiali simili a uccelli per sostituire ciò che avevano distrutto. Altri esempi di oggetti che indicano la creazione di "vita" artificiale sono Cat. Nr. 17, Cat. Nr. 18 e Cat. Nr. 19 della collezione. Questi oggetti e, soprattutto, le loro somiglianze3 con le rappresentazioni che abbiamo di animali reali nell'Antropocene portano all'ipotesi che, verso la fine dell'Antropocene, gli esseri umani stessero cercando di sostituire gli animali reali con quelli artificiali, perché quell’ultimimi erano più efficienti a cacciare altri animali, esplorare i fondali oceanici più profondi o i cieli più alti.
3. Una cancellazione digitale?
Il lettore potrebbe chiedersi se le risposte almeno alle prime due domande poste dal Museo – come vivevano e pensavano le persone durante l'Antropocene? e quando e perché l'Antropocene finì? – non si trovino da qualche parte nella grande quantità di informazioni che apparentemente era disponibile in quel periodo. Probabilmente è così, tuttavia sappiamo dai libri (!) che verso la fine dell'Antropocene la maggior parte delle informazioni e della conoscenza erano state trasferite dai libri ai microchip dei computer.
Cat. Nr. 81 è il "fossile" di un computer che è stato uno strumento per trasferire dati dentro e fuori dai chip (le piccole piastrelle nere nella cornice centrale/destra della foto). Mentre gran parte dei libri erano già stati decifrati 300 anni fa durante il Secondo Rinascimento, nessuno è stato finora in grado di estrarre alcuna informazione dai microchip. Questo è molto frustrante, perché è il motivo per cui non siamo in grado di chiarire come sia finita l'Antropocene: una pandemia? il cambiamento climatico? una guerra nucleare? tutte queste cose insieme? Al Museo attualmente lavoriamo con l'ipotesi che non riusciamo a estrarre informazioni dai microchip perché tali informazioni non ci sono più! Devono essere state cancellate o da un “virus” che si è diffuso rapidamente attraverso la rete a cui, apparentemente, tutti i computer del mondo erano collegati, o da qualche cataclisma di proporzioni cosmiche che ha inviato forti campi di radiazioni attraverso l’universo, e che hanno cancellato tutte le informazioni su tutti i chip, ovunque sulla Terra. In ogni caso, chiamiamo questo evento: la “Cancellazione Digitale”, e potrebbe essere stato l’inizio della fine di quella civiltà dei nostri antenati, che era diventata troppo dipendente dalle informazioni contenute in quei chip (vedi ad es. Figura 6).
E così, oggi, 50.000 anni dopo, ci rimangono solo gli oggetti e le loro descrizioni, se presenti, nei libri e nelle stampe e qualche fotografia.
4. Alcuni libri, mappe e stampe nella collezione permanente del Museo
Libri, mappe e stampe in generali sono importanti perché spesso è esplicitamente scritto nel libro o sulla mappa quando sono stati stampati, e questo rende semplice la datazione del libro - cosa che non era il caso con il guanto Cat. Nr. 53 -. Ma i libri sono anche importanti perché spesso descrivono come le persone pensavano nell'Antropocene, come vivevano, quali oggetti utilizzavano e per quale scopo, e così via.
Ad esempio, la foto all'inizio di questo articolo mostra dodici dei ventiquattro volumi dell'edizione 1971 dell'Encyclopaedia Britannica - Cat. Nr. 113 -. E’ stato portato alla luce 350 anni fa, e la decifrazione è stata completata solo 15 anni fa. L'Enciclopedia si rivela una descrizione dettagliata di tutto ciò che era noto nel 1971 d.C.: oggetti, eventi, persone, strumenti, paesi... Di conseguenza, molti degli oggetti che sono stati e vengono tuttora riportati alla luce possono essere facilmente datati e spiegati, perché spesso possono essere correlati a cose descritte nell'Enciclopedia. Una limitazione dell'Enciclopedia è che dopo la 15ª edizione del 2010 d.C. non sono state stampate altre edizioni. A quanto pare, anche l'Encyclopaedia Britannica è stata trasferita su microchip e, pertanto, le edizioni successive alla 15ª sono probabilmente andate perdute (vedi sopra).
La stampa nell'angolo in alto a destra della foto in alto – Cat. Nr. 29 – appare per la prima volta nel 1888 d.C. in un libro popolare francese sulla meteorologia. L'autore è sconosciuto. Secondo noi al Museo, l'immagine rappresenta la ricerca dell'uomo moderno per la conoscenza. Con "moderno" ci riferiamo al periodo che va dal Primo Rinascimento in poi, quindi dal circa 1500 d.C., fino alla fine dell'Antropocene. Ipotizziamo che questo modo di pensare, che era basato su un amalgama di dualismi - natura vs. cultura, mente vs. corpo, oggetto vs. soggetto, arte vs. scienza e così via - sia stato il motivo fondamentale per cui l'Antropocene è giunto alla fine. In effetti, la stampa mostra l'uomo moderno e il suo tentativo di fuggire dal mondo terrestre e avventurarsi nei cieli e oltre, nei pensieri ideali sul funzionamento del suo mondo. Facendo ciò, però, sembra separare la sua testa dal corpo, letteralmente e metaforicamente voltando le spalle al mondo vivibile con le sue montagne e alberi, le sue città e persone, solo per perdersi in un mondo invivibile di idee astratte e teoriche.
La foto in alto mostra anche due altri libri che sono stati importanti per comprendere meglio il pensiero durante l'Antropocene. C'è il libro in basso a destra: "Lezioni Americane" - Cat. Nr. 62 - , scritto dallo scrittore italiano Italo Calvino e stampato per la prima volta nel 1984 d.C. Il libro contiene i testi di cinque delle sei lezioni che Calvino fu invitato a tenere all'Università di Harvard – un luogo nel continente nordamericano – nel 1985-1986 d.C. Morì prima di partire per Harvard e prima di aver scritto la sesta lezione sulla "Consistenza". Le lezioni trattano di qualità della letteratura che Calvino voleva portare nel terzo millennio: "Leggerezza", "Rapidità", "Esattezza", "Visibilità", "Molteplicità", e la già menzionata "Consistenza". Egli era ottimista sul futuro della letteratura perché: “… ci sono cose che solo la letteratura può dare coi suoi mezzi specifici.”4 Tuttavia, è impossibile non pensare che queste qualità riguardino anche tutto il resto: l’energia, la società, la vita... In effetti, le “Lezioni Americane” possono essere lette come una critica al pensiero dualistico moderno e come una serie di proposte per andare oltre esso. Calvino prevedeva che il modo di pensare moderno fosse problematico. Era consapevole che l'umanità stava commettendo un grande errore, che la sua visione del mondo era troppo antropocentrica e che le sue attività, concentrate solo sul suo benessere, stavano distruggendo il resto dell'ambiente naturale da cui l’umanità fondamentalmente dipendeva. Calvino vedeva il problema nella divisione tra umani e non-umani, tra coloro che avevano una voce e coloro che non l'avevano. Il linguaggio è probabilmente l'arma più efficace che l'umanità abbia sviluppato; con il linguaggio e raccontando storie, poteva dominare il mondo. Ma Calvino aveva in mente un uso meno aggressivo del linguaggio. Scrisse: "per questo il giusto uso del linguaggio per me è quello che permette di avvicinarsi alle cose (presenti o assenti) con discrezione e attenzione e cautela, col rispetto di ciò che le cose (presenti o assenti) comunicano senza parole."5 Le sue “Lezioni Americane” erano proposte per il terzo millennio – ora siamo nel LII° millennio …– proposte per non vedere il mondo in bianco e nero, popolato da umani da un lato e non-umani dall'altro, ma come una grande rete in cui tutto è connesso e dipendente l'uno dall'altro, e in cui le relazioni si basano sul rispetto di ciò che ogni cosa ha da dire, con o senza parole. È un po' triste pensare che la civiltà a cui stava facendo queste proposte probabilmente crollò durante quel terzo millennio.
Concludiamo con il libro mostrato in basso a sinistra nella foto in alto: “Mausoleum” - Cat. Nr. 168 - , dello scrittore tedesco Hans Magnus Enzensberger, in una traduzione neerlandese pubblicata nel 1977 d.C. Si tratta di una selezione di epigrafi scritte per una varietà di persone che hanno vissuto tra il 1300 e il 2000 d.C.: politici, artisti, ingegneri, medici, parvenu e ciarlatani di ogni tipo. Possono essere visti come gli ideologi e i manifattori dell'Antropocene. Hanno inventato orologi astronomici, teorie politiche e matematiche, l’urbanizzazione, la cinematografia, catene di montaggio, l’elettroshock, automi che scrivono, ballano o calcolano, la scheda perforata, fabbriche che costruiscono fabbriche, algoritmi che si correggono da soli... Enzensberger sembrava suggerire che il suo mondo moderno, l'Antropocene, non fosse costruito sulla base di idee e metodi chiari e illuminati che si erano affermati nelle discussioni teoriche durante e dopo il primo rinascimento, ma che, in pratica, il mondo moderno era stato costruito da traumatizzati, maniaci e psicopatici, mossi dall'idea del nuovo, del progresso, di un futuro che doveva essere realizzato ad ogni costo. Non sorprende, quindi, che all'inizio del XXI° secolo (e vicino alla fine dell'Antropocene?) il mondo fosse diventato un luogo caotico e febbrile che i suoi abitanti non riuscivano più a controllare; un mondo esplosivo...
5. Conclusione
L'Antropocene è giunto alla sua fine e non sappiamo perché; possiamo solo formulare ipotesi basate sulle evidenze archeologiche disponibili: oggetti, disegni e scritti. Ma come viviamo oggi, nel 52024 d.C.? La risposta a questa domanda è più facile, forse, ma richiede comunque più spazio di quello che ci è stato assegnato qui. Vogliamo comunque concludere con un'altra domanda: chi è il “noi” nella domanda: “Come viviamo oggi?”
Per noi del Museo e per coloro che stanno leggendo questo testo, il “noi” include persone, piante, animali, montagne, oceani, alberi, nuvole,... perché è ovvio che tutto questo è interconnesso e l'uno dipende dall'altro. Ad esempio: non possiamo spiegare come vive un albero, senza menzionare che produce ossigeno essenziale per animali e umani, e senza menzionare che gli esseri umani utilizzano gli alberi per produrre energia, costruire case, strumenti musicali e così via. Non possiamo parlare di come “vivono” montagne e rocce, senza menzionare come vengono erose dalle pioggie, producono suolo fertile e aiutano, tra le altre cose, a regolare la presenza di CO2 nell'atmosfera, e quindi il clima e tutto ciò che da esso dipende. “Noi” siamo “tutti noi”, umani e non-umani, perché ci stiamo tutti insieme in questo mondo.
Ma... finisce qui? Poiché non sappiamo cosa sia esattamente successo subito prima della fine dell'Antropocene, rimane la possibilità6 che una piccola parte della popolazione umana abbia lasciato il Pianeta Terra per stabilirsi altrove nel sistema solare: la Luna, Marte, asteroidi,... Il Museo ha prove che gli esseri umani stavano sperimentando con la tecnologia, fondendo micro-tecnologia e robotica con i loro stessi corpi organici per produrre cyborg che avrebbero potuto essere meno dipendenti dall'ambiente naturale e che sarebbero persino sopravvissuti negli ambienti più difficili (vedi Cat. Nr. 127 e Cat. Nr. 128). Ci sono anche prove che gli esseri umani hanno sviluppato razzi e navicelle spaziali (vedi Cat. Nr. e5) e che li hanno equipati con quei cyborg e li hanno inviate su Marte o oltre, dove avrebbero potuto sviluppare nuove forme di vita; cyborg che producono cyborg. E forse... quei cyborg, membri di una specie post-umana, ora ci osservano, Homo Sapiens, vivendo in quella riserva naturale che è il Pianeta Terra, nello stesso modo in cui, durante l'Antropocene, Homo Sapiens guardava le scimmie chimpanzé rinchiuse nelle riserve delle poche foreste rimaste...
Note
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Laveno Mombello
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